Un’intervista all’apicoltore più esperto dell’Associazione..:
Fino a qualche tempo fa, in primavera, si catturava uno sciame allo stato selvatico, di solito su un ramo di un albero o all’interno di un tronco, o su le greppe, o addirittura lo sciame “co le fiare” (cioè con i favi costruiti dallo sciame stesso).
Co’ quattro raspate si metteva lo sciame dentro a un cesto o a un secchio, e si portava dentro a un bigonzo, di quelli vecchi, che si capovolgeva e si poggiava sulle tavelline. Si permetteva l’uscita e l’ingresso alle api da un buco e si lasciava lì fino all’estate.
Quando era tempo di raccogliere il miele non tutti i cupelli venivano distrutti: si lasciava sempre una famiglia detta “la matricina”, che veniva utilizzata per fare nuove famiglie. Nel periodo delle sciamature, in primavera, per non far allontanare troppo gli sciami che uscivano dai bigonzi, si battevano dei secchi per fare rumore, o gli si tirava addosso la terra.
Per raccogliere il miele si utilizzava il fumo di erba bagnata o uno zorfarolo, per mandare via le api da sopra i favi. Dopodiché si prendevano i cupelli, si toglievano la parte della covata e i favi col miele, e “se sfragnevano co le mano dentro a ‘na conca”. Poi il miele si filtrava con un sacco di juta. Si recuperava la cera, e dopo averla sciolta dentro a una pentola si filtrava con una tela.
Ho conosciuto i partecipanti dell associazione nel corso che hanno organizzato per l’ avvicinamento all’ apicoltura, ognuno di loro ci ha spiegato e trasmesso l’amore la passione per quello che fanno in maniera eccellente il tutto in un territorio piccolo ma ricco nel rispetto della natura che va preservata e nella tradizione . È rimasta tra tutti i partecipanti un’ amicizia indipendentemente se avrò arnie avrò più attenzione a certe dinamiche della natura.Ringrazio ancora tutti per quello che ci avete insegnato e trasmesso!
Grazie mille Cinzia, da parte di tutti – arrivederci a presto!